Sotto ai piedi l’asfalto, duro e bollente di un mezzo giorno estivo. L’aria è una brezza piacevole mentre alle orecchie giungono le voci che sono i passanti, la gente tutta nell’obiettivo della macchina fotografica.
Lo si immagina così Ciro Cortellessa, immerso in un oceano di viandanti urbani, mentre non vede non sente ed ascolta.
I passi lungo la strada, le voci che si mescolano ai motori rombanti: il suono della città.
Ciro Cortellessa cattura il suono con la sua macchina fotografica e, guardandovi dentro, scopre un universo.
Corteggia la fotografia sin da giovanissimo, relazione duratura che subirà trasformazioni e abbraccerà evoluzioni lungo tutto il percorso. Nel 2000 Ciro Cortellessa intraprende un viaggio in Bosnia dove racconta la vita della popolazione nei campi profughi all’indomani della guerra. Comprende che mai più avrebbe abbandonato quel modo di guardare e di raccontare, e che sarebbe diventato un foto-reporter.
L’esperienza del viaggio avvicina Ciro Cortellessa alla street photography che nasce appunto per strada, tra la gente e i luoghi. E’ una realtà colta tutta nel suo farsi, in continuo divenire dove se si è attenti osservatori è possibile scorgere l’insolito che è il guizzo del fotografo.
Cortellessa ritrae istanti di vita urbana, dove a ben guardare immersi nella quotidianità spiccano personaggi curiosi che ammaliano lo spettatore. Così la silhouette scura di un bambino, in mezzo alla folla, che pare un ologramma; una donna dal capo chino nel mezzo di un istante ricco di pensieri, un frame cinematografico; una suora dall’abito azzurro che spicca e viene fuori catturando prepotentemente l’attenzione dello spettatore.
Viene da domandarsi: dove state andando tutti?
Sono gli interludi urbani, istanti che suonano come epifanie.
Sorprendono, meravigliano dietro l’angolo.
1- Che relazione intercorre tra la street photography e il reportage documentaristico?
La “street photography” è un genere fotografico che è sempre stato ad appannaggio dei fotografi di tutti i tempi. Spesso questo genere fotografico viene banalizzato dal fatto che è sufficiente scendere in strada con la macchina fotografica e scattare, a prescindere dai contenuti e dal messaggio che si vuole trasmettere al futuro osservatore. Niente di più sbagliato. La tecnologia ha sicuramente aiutato le persone a catturare immagini ovunque e di chiunque condividendole in una frazione di secondo, con la conseguenza di perdere la bellezza della scena e quella capacità di osservare che alla fine ci fa decidere se premere o meno il pulsante di scatto. Nel praticare la Street photography si deve essere spesso rapidi ed istintivi a volte a discapito della tecnica, regola dei terzi, corretta esposizione ecc.ecc. Il messaggio contenuto in uno scatto realizzato in strada è molto spesso prioritario rispetto a queste regole, imposte o meno. Nella Street photography spesso non si ha il tempo di pensare a questi elementi, ma ci si immerge nella realtà che ci circonda fondendoci con essa e pensando solo alle situazioni di vita da immortalare che ci passano davanti. La Street photography, come dice il nome, è un genere che racconta in uno scatto, uno ed uno solo, l’interazione dell’uomo con l’ambiente che lo circonda. Il “modo” di scattare è simile al reportage ma l’approccio è totalmente diverso: il reportage, sia esso di viaggio o di inchiesta, ha connotazioni e pianificazioni ben diverse. Innanzitutto dal numero di fotografie necessarie (generalmente più di 5-6 ma anche 15-20 o più) che seguono un filo logico per raccontare una storia. Nel reportage ci si appassiona ad un argomento, si studia una “trama”, si progetta e si fotografa seguendo il filo della sua storia. Nella street photography invece il fotografo si immerge nella realtà di strada senza aspettarsi nulla: vede, osserva, elabora e cerca di cogliere qualunque cosa lo colpisca, secondo la propria sensibilità. Successivamente, una volta acquisito un proprio archivio d’immagini, si riescono ad individuare molte analogie tra gli scatti realizzati, ed è proprio in questo momento che si creano sequenze con inevitabili analogie che ci fanno varcare la soglia che separa la Street photography ed il reportage. La linea è veramente sottile.
2- Dice di muoversi per strada a “rallenty” mentre fotografa. Cosa intende?
La Street photography richiede, spirito di osservazione, rapidità nel catturare le situazione, tecnica e tanta pazienza. Quando dico di muovermi al “rallenty” intendo che tutto di me ed intorno a me si muove ad una velocità così ridotta che mi permette di vedere situazioni ed aspetti dell’uomo e del contesto architettonico nel quale collocarlo che altrimenti non riuscirei a vedere. Come osservare un film d’azione al rallentatore, uno slow-motion della vita che ti consente di cogliere sfumature, espressioni di persone, luci ed ombre di luoghi che come un puzzle, unite, danno vita a quella situazione, imperdibile, che mi induce poi a scattare. Questo è lo spirito e la tecnica mentale che adotto quando decido di scendere in strada a fare fotografie.
3- Più fotografo o più viaggiatore?
Io mi sento prima di tutto viaggiatore e poi fotografo, ma non riesco a tenere le cose separate. Se non avessi lo spirito del viaggiatore, curioso di conoscere, interagire con le persone dei luoghi che visito per realizzare i miei reportage, non potrei, successivamente, catturare quegli scatti che raccontino poi la storia. Devo innanzitutto immergermi nel passato dei luoghi, nella cultura dei popoli e nelle loro tradizioni, spesso anche adottarle, farle mie, viverle in prima persona, la macchina fotografica è l’ultima cosa che estraggo dallo zaino. Solo quando mi sento avvolto dal luogo, dagli odori, dalle atmosfere, allora solo in quel momento, ritento che è giunto il momento che quelle sensazioni siano trasmesse attraverso lo scatto, che diventa poi la mia “fotografia”.
Contatto FB: Ciro Cortellessa
Per PHOLIO: Ilaria Sciadi Adel
Lo si immagina così Ciro Cortellessa, immerso in un oceano di viandanti urbani, mentre non vede non sente ed ascolta.