In un quartiere di una piccola città, un fotografo beve l’ultimo sorso di caffè nella bottega di un anziano falegname. Al collo ha una macchina fotografica che gli sta in mezzo al petto e s’appoggia al cuore, e mentre ne controlla il funzionamento, il fotografo guarda il falegname e dice: << Raccontami la tua storia, il mestiere della tua vita. >>.
Così c’è Vincenzo che fa il sarto da tutta la vita, Mauro che tiene viva la memoria paterna con occhiali dalla pregiata montatura in pelle e cuoio, Bruno che costruisce violini ed Enea che realizza ance in canna viva per l’oboe del figlio.
Sono i mestieri e raccontarli è il mestiere di Gianfranco Mancini, ricercatore e cercatore instancabile. Perché il mestiere del fotografo è quello di cercare una storia, come un affamato avventuriero che sa fidarsi del proprio fiuto, ma è anche quello di ricercarla ponendosi interrogativi e guardandovi dentro per scovarne il genius loci.
“Foto-grafia” deriva dal greco phôs (luce) e graphè (disegno), letteralmente “scrivere con la luce”, scrivere una storia con la luce. Non v’è miglior luogo della fotografia in cui ad incontrarsi sono voci diverse: colui che della propria vita fa un mestiere e colui che decide di raccontarla e così facendo ha la possibilità di vivere una duplice storia, mentre scrive la propria con la fotografia.
E tra le due storie corre un filo fragile, “sobrio rude scoraggiante perché il filo è il mestiere” scriveva Philippe Petit nel suo Trattato di Funambolismo.
Il mestiere non è mero lavoro, bensì un’evoluzione di questo.
Gli artisti del mestiere protagonisti degli scatti di Gianfranco Mancini hanno fatto del proprio lavoro una passione, oltrepassando i confini della routine, arida e limitante.
Hanno dedicato un’esistenza intera al perfezionamento della propria professione che con il tempo della dedizione è divenuta arte. Gianfranco Mancini ne racconta i segreti e gli umori, scrivendo con la luce non soltanto la storia di artisti del mestiere ma anche quella di un territorio, quello marchigiano, che a volte mostra e a volte nasconde simili ricchezze cosicché sia possibile scoprire una realtà sconosciuto nella piccola bottega dietro l’angolo o all’ultimo piano di un palazzo.
Ed è la storia che tiene stretta a sé il falegname, mentre gli sta in mezzo al petto e s’appoggia al cuore.
1- Maurice Zundel scriveva “Il lavoro deve produrre uomini prima che cose.” Quale significato attribuisce a questa espressione?
Spesso la vita ci mette di fronte ad una realtà: il sopravvivere, inventarsi qualsiasi cosa per sopravvivere all’esistenza. Potrei parlare della mia esperienza , il dover far fronte ai bisogni familiari fin da ragazzino a 12 anni – facevo parte di quella generazione dove eravamo adulti fin da bambini – quando entrai a lavorare presso la bottega di un piccolo artigiano calzaturiero col fine di apprendere “il mestiere” come si dice. Iniziava la mia formazione , il rapporto fra il mio essere bambino, il diventare adulti, e il mestiere ( la manualità , la costruzione di un bene ). E mentre crescevo , sentivo che cresceva in me la maturità e l’esperienza.
2- Fin dove termina il lavoro ed incomincia il mestiere?
Il lavoro finisce quando le ore segnano il tempo , ma il tempo non esiste quando si ha la fortuna di fare un mestiere, la manualità e l’esperienza inducono a dar vita a una materia e la stessa diventa corpo. Personalmente associo il mestiere anche alla passione e all’amore per ciò che si fa.
3- Ci parli ora del Suo. Qual è il mestiere del fotografo?
Non sono un fotografo , sono un fotoamatore e sono contento di questo in quanto sono libero da qualunque tipo di vincolo, da ordini. Essere fotoamatore per me è libertà d’espressione nella scrittura dell’immagine , fermare con un fotogramma un momento, la fotografia è un’arte. Amo il racconto , la vita scritta con luci e ombre – un volto , un movimento insito nelle pieghe del quotidiano, anche il più impercettibile. Amo il reportage e mi piacerebbe fare il fotoreporter, girare e fermare attimi . Il grande amico fotografo Mario Dondero mi è solito dire che la differenza che intercorre tra lo scrittore di parole e il fotoreporter è immensa:
lo scrittore può raccontare e spaziare con la fantasia pur restando seduto alla sua scrivania nella sua casa, mentre il fotoreporter o il reportagista deve inevitabilmente recarsi sul posto, essere sul pezzo, viaggiare ed è ciò che più amo.
Non è che mero lavoro se non lo si racconta, il mestiere.
Fb Contatto: Gianfranco Mancini
Per Pholio: Ilaria Sciadi Adel