“…Le strade piene e la folla intorno a me…” recitava una celebre canzone italiana che risuonava in una “Città vuota”, tutt’altro che vuota, piuttosto piena di occhi e vite.
Come la città ritratta da Patrizia Caravaggio, che usa il bianco/nero per la sua “storia fotografica”, dove molto è lasciato allo spettatore perché sia lui a riempire gli interstizi del racconto.
C’è Parma con le sue strade e la sua folla, c’è Patrizia Caravaggio che si muove a bordo della sua bicicletta oltre la quotidianità, ma non per abbandonarla bensì per lasciarla lontana un po’. Il fotografo dev’essere un osservatore silenzioso, in grado di fare il click decisivo senza che quest’ultimo produca neppure il più impercettibile dei rumori.
Il fotografo non si deve né vedere né sentire, però lui deve sentirsi ovvero provare empatia nei confronti di ciò che lo circonda. Deve poter mettersi nei “panni” della città. Così accade negli scatti di Patrizia Caravaggio,avvolti da un’atmosfera suggestiva e magica che li rende come frame di un tempo passato, o persino immagini della mente a cavallo tra surrealismo e realismo.
Odorano di silenzio e di attesa le immagini di Patrizia Caravaggio, come ad osservare la città dal di dentro di un acquario, dove ogni suono è come attutito.
Così facendo se ne afferrano tutti gli umori che rimangono “impressionati” sulla pellicola di una fotografa che viaggia in bicicletta. E’ l’immagine di una città romantica quella che Patrizia Caravaggio restituisce allo spettatore, una “città vuota” nel senso che ci si perde così profondamente da sentirne il vuoto. Perché cosa resta dopo l’immagine, dopo la parola?
1- Città “vuota” o “piena” quella che vedi intorno a te?
Dipende un po’ dallo stato d’animo, ma in linea di massima direi soprattutto “piena”: potrei fermarmi in un punto e guardarmi attorno senza stancarmi, trovando un sacco di cose che mi attraggono. Mi piace molto quando è un po’ assonnata, nelle prime ore del mattino o di notte.
2- Che cosa intendi per streetphotography?
In poche parole: per me è la forte realtà di un attimo irripetibile. Forte perchè in quell’attimo ci trovi di tutto: spesso un contesto, l’essere umano con le sue reazioni, i suoi movimenti, emozioni, sensazioni, reazioni, l’intensità di certe situazioni. E’ tutt’altro che semplice, hai a disposizione solo quell’attimo per fare “click”, in pochi secondi cambia tutto. In tedesco c’è una parola “Augenblick” per definire un attimo: letteralmente significa “batter d’occhi”, direi che rende bene l’idea. Trovo bello fotografare così, condividere lo scatto, è un po’ come invitare qualcuno a guardare ciò che accade intorno, prendersi un attimo di respiro tra le varie corse di una giornata
3- Ti senti parte della città che immortali o ne resti al di fuori?
E’ la città in cui vivo, e me la vivo. Secondo il senso comune dovrei farne parte. In realtà, direi che partecipo alla sua vita, ma con un certo distacco. Ne apprezzo certe sfumature, certe frasi in dialetto che non potrebbero rendere certe cose altrimenti, ma non sento l’appartenenza, le radici. Gli studi linguistici che avevo intrapreso erano proprio volti a una maggior possibilità di spostamento e conseguente partecipazione nel luogo in cui mi sarei trovata (anche se poi la vita non mi ha dato molto in questo senso). Se vado in un altro luogo, Italia o estero che sia, mi ci immergo senza pensare più di tanto alla città che ho lasciato, pur considerandola come un punto di riferimento, nel senso più ampio del termine, perchè è lì che si svolge la maggior parte della mia vita.
Contatto FB: Patrizia Caravaggio
Per PHOLIO: Ilaria Sciadi Adel
Il fotografo non si deve né vedere né sentire, però lui deve sentirsi ovvero provare empatia nei confronti di ciò che lo circonda.