Nei ritratti che Edward Weston scattava alla sua musa Tina Modotti il corpo diveniva un tutt’uno con la luce, tra bianchi neri e carne, fino a fondersi. Li ricorda uno scatto di Maria Palmieri, qui in evidenza, dove sinuoso appare il corpo di una donna come un’onda e il nero è talmente denso, fluido e separato dal bianco al quale si contrappone, da divenire ombra e poi oscurità.
Si intitola Dunkelheit il racconto fotografico di Maria Palmieri che definisce la fotografia come un incontro oltre i cinque sensi. Scattate nell’ora più assolata del giorno, queste immagini ricordano a Maria Palmieri la canzone Dunkelheit della black metal band norvegese Burzum in cui “Quando scende la notte lei ricopre il mondo con tenebre impenetrabili. Un senso di gelo si alza dal terreno e si propaga per l’aria immediatamente, la vita ha un nuovo significato.”
Maria Palmieri sceglie la fotografia, nello specifico quella analogica, per cercare oltre il visibile, alla scoperta di quella consapevolezza che soltanto l’oscurità può portare.
Non si tratta di un’oscurità che nega la vita, piuttosto che la riscopre viaggiando attraverso quello che potrebbe essere definito un “sonno della ragione”. Accade nell’opera del pittore spagnolo Francisco Goya Il sonno della ragione genera mostri che ritrae un uomo addormentato, probabilmente l’autore medesimo, mentre prendono forma accanto a lui sinistri uccelli notturni, inquietanti volti ghignanti e diabolici felini, che sono il parto della sua mente ma che attraverso la fantasia giunge alla consapevolezza e dunque alla ragione, alla verità.
I corpi ritratti da Maria Palmieri si mettono a nudo dinnanzi all’obiettivo fotografico, cambiano forma nell’oscurità ed appaiono come bestie ammalianti che incantano lo spettatore. E’ la ricerca dell’identità che si esplica nel sonno dell’oscurità della riflessione, oltre il corpo che si interroga sulla propria fisicità e supera, così facendo, la materia attraverso la fantasia visionaria.
1- Titola il Suo portfolio con la parola tedesca “Dunkelheit”. Quale oscurità rappresenta nei Suoi scatti?
Ho scelto questo titolo pensando alla meravigliosa oscurità che avvolge queste immagini, pur essendo tutte scattate nel pieno sole del tardo mattino. Mentre guardavo le fotografie mi è venuta in mente una canzone intitolata proprio Dunkelheit, che dice questo: “Quando scende la notte lei ricopre il mondo con tenebre impenetrabili. Un senso di gelo si alza dal terreno e si propaga per l’aria immediatamente….. la vita ha un nuovo significato.” Ecco, dunque il brivido, il senso di sospensione, di sollevamento da terra, quell’attimo che ti gela perchè è lo stesso in cui abitui gli occhi all’oscurità e ti rendi conto di riuscire comunque a guardare ciò che ti circonda, ma in modo completamente diverso, nuovo, potremmo dire magico. Tutto ciò che vedi acquisisce un nuovo significato. Il buio è la cornice ideale per astrarre gli elementi e capire la realtà. Quindi un’oscurità che è una guida, maestra e chiave di lettura capace di rendere immediatamente visibile il senso, eliminando visualmente l’inutile sovrabbondanza consolatoria con cui spesso ci decoriamo.
2- Donna, corpo, fotografia. Indichi il legame sussistente.
Per me la fotografia è solo un linguaggio per parlare del corpo, della corporeità, quindi della realtà. Ho un assoluto bisogno di indagare l’esistere, l’esserci. Mi interessa la realtà, poi che sia uomo o donna è indifferente. rappresento spesso i corpi, di qualunque sesso, forma, età, perchè è in essi che cerco ciò che mi interessa, ossia un legame profondo con la materia, il mondo, l’esistenza. Con la fotografia ciò che vedo esiste. In più, con la fotografia analogica, su pellicola, riesco persino a catturare su un piano tattile, concreto, materico, concreto, questa immagine. C’è unitarietà, non frammentazione, tra realtà e finzione, uomo e donna, pesantezza della materia e leggerezza, senso di perdersi e di scoprirsi, caduta infinitamente sospesa nell’attimo fotografato e presa di consapevolezza grazie ad esso.
3- Sostiene di scattare spesso con pellicola. Quali sono, per Lei, i vantaggi che questa garantisce nella società contemporanea oramai dominata dal fenomeno della digitalizzazione?
Non amo tanto le dispute sull’analogico e il digitale, l’importante è fare foto che riescano a dire qualcosa. Spesso la pellicola è usata anche come pretesto per fare foto inutili e spacciarle per qualcosa di buono grazie al medium utilizzato e viceversa, lo stesso accade con le più sofisticate macchine digitali, ma non dovrebbe essere così. Io uso la pellicola per mera scelta personale, è un linguaggio e ognuno sceglie come preferisce comunicare. Io l’ho scelta perchè ho un urgente bisogno di concretezza, ho il terrore di perdere i ricordi, i pensieri, le cose, le persone, sono spaventata dalla possibilità che io e le cose che so, che conosco possano sparire e quindi la pellicola mi assicura questa prepotente concretezza di cui ho, evidentemente, molto bisogno. Inoltre è un mezzo che dialoga con l’ambiente circostante anche al di là dei dati dei volumi e della luce che su di essi va a posarsi e quindi a formare l’immagine impressa. C’è la polvere che si attacca all’emulsione, il supporto in pvc, ci sono i sali d’argento che si spostano e si dispongono in un ordine descritto dalla luce e dall’energia dello sviluppo, che poi è l’energia delle mie mani che agitano la tank, dei chimici usati. Insomma, la pellicola la vedo come qualcosa di vivo, una sorta di modo per continuare a fotografare ancora al di là del tempo dello scatto.
Contatto FB: Maria Palmieri
Per PHOLIO: Ilaria Sciadi Adel
E’ la ricerca dell’identità che si esplica nel sonno dell’oscurità della riflessione.